L'ULTIMO LIBRO DI EDGAR HAMMER
Non è tutto quello che vediamo o sembriamo
un sogno in un sogno soltanto?
(Edgar Allan Poe)
Crediamo nell’assillante realtà quotidiana, che ci divora più di ogni altra cosa.
In verità siamo spiriti eterni che sognano di vivere l’ennesima esistenza.
(Edgar Hammer)
Osservando attentamente i mulinelli d’acqua, nel fiume dietro casa, riusciva a farsi trascinare lontano. Poteva trascorrere un gran numero d’ore in quel luogo, senza provare neanche per un attimo l’insofferenza causata dalla noia dell’attesa. Anche ora, nel primo giorno di primavera di un marzo particolarmente caldo, stava provando la stessa sensazione d’abbandono.
Per lui la primavera rappresentava il ripetersi di un’agonia indicibile. La stagione della rinascita si riversava nel suo animo colla vibrazione e l’esplosione sonora dell’assordante galoppo di un messaggero privo di pietà terrena. Il lancinante ritorno di un dolore senza fine.
L’aveva perduta in un giorno di primavera, ed era inevitabile che quel momento sarebbe giunto nuovamente a trafiggergli la mente. Per quanto uno si possa predisporre psicologicamente non riuscirà mai a prepararsi abbastanza da non doverne soffrire. Con la morte, forse…
Una primavera malata. Lui la ricordava così, ma la primavera non c’entrava per nulla. La primavera era quella di sempre. Era lui che la vedeva distorta, poiché il malessere che si portava dentro aveva la disgrazia d’appassire ogni cosa intorno. Col dolore non si può ragionare. Fa di te quello che vuole.

La notizia della dipartita di Edgar mi ha sconvolto.
Mi apprestavo a fare colazione, sfogliando un quotidiano, come sono uso a fare ogni mattina. L’articolo che mi ha spezzato il cuore era pubblicato a tre quarti del giornale. Un trafiletto anonimo con cui si comunicava la morte suicida di un celebre scrittore.
Edgar morto suicida? Non potevo crederci. Il suo ultimo lavoro, dopo anni di crisi creativa, aveva riscontrato il consenso unanime dei lettori e della critica. Dovevo assolutamente salutare il mio amico per l’ultima volta. Il funerale si sarebbe svolto il giorno seguente e non avrei fatto in tempo, tuttavia mi misi in viaggio quello stesso pomeriggio.
Partii in treno, lasciando Lucy a casa, preoccupata come sempre per la mia sorte. Povera Lucy, dall’animo dolce e sensibile.
La notizia della dipartita di Edgar mi ha sconvolto.
Mi apprestavo a fare colazione, sfogliando un quotidiano, come sono uso a fare ogni mattina. L’articolo che mi ha spezzato il cuore era pubblicato a tre quarti del giornale. Un trafiletto anonimo con cui si comunicava la morte suicida di un celebre scrittore.
Edgar morto suicida? Non potevo crederci. Il suo ultimo lavoro, dopo anni di crisi creativa, aveva riscontrato il consenso unanime dei lettori e della critica. Dovevo assolutamente salutare il mio amico per l’ultima volta. Il funerale si sarebbe svolto il giorno seguente e non avrei fatto in tempo, tuttavia mi misi in viaggio quello stesso pomeriggio.
Partii in treno, lasciando Lucy a casa, preoccupata come sempre per la mia sorte. Povera Lucy, dall’animo dolce e sensibile.

Quattro del pomeriggio. Il cielo promette un temporale in arrivo. Un uomo sotterra un suo simile in un cimitero di campagna. Un altro uomo, vestito da città, osserva la scena in silenzio. Tra il gracchiare dei corvi si alza un vento umido. Qualche goccia di pioggia bagna la giacca elegante dell’osservatore.
Il becchino continua a riempire la fossa di terra.
– Ricordo di non aver visto funerale più triste in vita mia. E di anni ne ho parecchi, mi creda. Non aveva nessuno, questo povero cristo. Morta lei non ha avuto più pace. Se ne andava per giorni, a volte, ma poi tornava sempre. Sapevamo che era rientrato quando vedevamo la luce accesa nel suo studio. Da ultimo non usciva quasi più, e adesso è qui. Speriamo che almeno dall’altra parte trovi un po’ di compagnia.
L’uomo addetto alla sepoltura aspira tre brevi boccate e getta quello che rimane del sigaro nel buco che ha appena scavato. Dopo essersi asciugato del sudore dalla fronte, usando un fazzoletto unto e bisunto, prende il badile e inizia a coprire la fossa. La prima terra raccolta raggiunge la cassa, producendo quel classico rumore capace di riportare a galla gli ancestrali dubbi che avvolgono l’esistenza. L’uomo di città parla.
– Lo conosceva?
– Lo scrittore? Qui in paese lo conoscevamo tutti. Era uno in gamba, anche se beveva troppo poco. E lei chi è, un suo amico?
– Ha detto bene. Sono un suo carissimo amico.
Altra terra sulla cassa. Altre gocce di pioggia che precipitano, come lacrime, sul cimitero.
– Di lui non ho letto niente. Gli portavo la posta, ogni tanto. A dire il vero poche volte. Non è che ne riceveva chissà quanta. Sa com’è, il nostro è un paese piccolo e quando occorre, se proprio serve, do una mano come postino.
– Com’è morto?
– Era scritto sul giornale. E adesso, se permette…
– Nel giornale ho letto che si è suicidato.
– Proprio così. Dovevano fare il funerale ieri e proprio per quel motivo hanno rimandato ad oggi.
– Esattamente come si è suicidato?
– Le ho già detto che devo lavorare. Non vede che sta arrivando un temporale di quelli giusti?
– C’è un posto, in paese, per mangiare qualcosa e dormire?
– Vada all’albergo in piazza e dica che ce l’ho mandato io.
– Come si chiama l’albergo?
– Che importanza ha? È l’unico che abbiamo.
– E per mangiare qualcosa?
– C’è la locanda di mia sorella. È proprio dalla parte opposta all’albergo. Non può sbagliare. L’Angelo Vendicatore. Si chiama così, la locanda. Mia sorella, invece, si chiama Maria. Le dica che la manda uno dei suoi fratelli.
– Lei è?
– Quello che scava le fosse e qualche volta fa il postino.
– Un’altra cosa e me ne vado.
– Dica.
– Prima ha parlato di una donna. Ha detto che morta lei Hammer non ha più avuto pace. Era sua moglie Miriam?
– Viveva con lui. Probabilmente era sua moglie. Non so altro.
– A chi posso chiedere maggiori informazioni?
– Non ho idea. Mi lascia lavorare?
